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LA RESURREZIONE DEL VASETTO
di Luciano Capponi
con  Giulio Brando – Valentina Scorsese – Stefano D’Angelo – Bassy Bang – Ione Medina – Lollo Frizza,
diretto da Luciano Capponi
TEATRO AGORA’
via della Penitenza 33
dal 31 marzo al 24 aprile 2016

 

CRONACHE DALLE ULTIME ZONE ABITATE
(dopo la fine del mondo)

Di scena La Resurrezione del Vasetto di Luciano Capponi, autore e regista indubitabilmente ‘di frontiera’, che continua a sorprendere spettatori (e non) con i suoi coup de théâtre, quei suoi racconti imprevedibili, capaci di rilanciare la mente aldilà dei propri ostacoli.
Questa volta porta in scena, forse per la prima volta a teatro, la teoria apocalittica della fine del mondo, insieme a una curiosa ipotesi di sopravvivenza.
La Resurrezione del Vasetto, per chi ha occhi per vedere e cuore per sentire, è una favola divertente (inquietante?) sul futuro non tanto remoto dell’umanità, un racconto sarcastico ed esilarante sui sopravvissuti all’ultimo cataclisma.
Una fortuna assistervi e immaginare di essere tra quei 23 fortunati (fortunati?) scampati all’estinzione.
Nello spettacolo, una manciata di impavidi controeroi si confronteranno non solo con la scarsità di risorse e di cibo, ma con gli inganni della mente e resteranno a testimoniare l’ultimo ‘pit stop’ della razza umana. Fine della storia. Fine delle parole. Fine dei maestri. Fine.
La domanda è d’obbligo: ‘Riusciranno i nostri eroi….?’
Forse loro no, ma noi, parafrasando una celebre dichiarazione, ‘noi… speriamo che ce la caviamo’.


SINOSSI

Sulla favola medievale di un guardio (Bertazio) e di un principe (Cecilio) si svolge la lotta per la supremazia del maschio da una parte e per l’esplosione del sentimento dall’altra.
Sentimento che è la parte più intelligente della dualità umana.
“Cogito ergo non sum” sembrerebbe indicare il principe.
E poi il re, la regina, Clotilde la fidanzata di Bertazio, si intrecciano con i loro propositi irrisolti e devastanti.
Ma non è questa la storia: tutti sono testimoni che il mondo sta per finire (siamo in epoca
contemporanea) e in attesa di morire per fame decidono di recitare un vecchio copione sperando che qualcosa possa salvarli. Una sorta di analisi “pre-mortem” condita da riflessioni audaci.
Dentro e fuori il personaggio alla disperata ricerca di un’identità’ che non prevede un protocollo di attivazione se non nella follia.
Una sarabanda senza soste, un carosello di ritmi e coralità, una coreografia di suoni e sudori incalzanti.
L’attore nudo, senza pietà né ripensamenti.
Se fossi un critico direi: da non perdere.
Presunzione o consapevolezza?
Decidetelo voi.
Tanto siamo già morti.


LA RESURREZIONE DEL VASETTO: ISTRUZIONI D’USO

Se andate alla Scala perché si va alla Scala ed è solo motivo di vernissage, di chiacchiere, di confronti occulti conditi dalla noia mortale del vuoto rivisto e risentito dei carrozzoni ministeriali, vi sconsiglio di vedere “La Resurrezione del Vasetto”.
Se poi siete quelli che vanno a teatro perché ogni tanto ci si va, seguendo le indicazioni prezzolate dei critici e non siete ancora mai riusciti a farvi un’opinione personale nel dubbio che diventa lacerante sempre nella noia mortale, beh, anche in questo caso state lontani dalla Resurrezione del Vasetto.
Se poi non siete mai andati a teatro è probabile che non ci andrete.
Se siete esperti, o credete di esserlo, di performances, work in progress, sperimentazioni di
laboratorio, di dizione e di scuola di teatro, vi scongiuro, non venite a teatro.
In definitiva se siete persone normali, di gusti normali e che magari ancora credete che quello che conta nel teatro sia il messaggio e che questo messaggio possa certificare l’esistenza di un cuore che batte e di un’anima che respira o se, osando, travalichi i pregiudizi ed i paraocchi al di là del conosciuto, allora sarò lieto di vedervi a teatro.
Nell’eventualità che le categorie citate precedentemente si incuriosissero, certamente le
accoglieremmo.
Ma non aspettatevi il teatro che conoscete perché il “Vasetto” rispetta il ricordo e la tradizione dei suoni che rendevano l’Italia un paese più vivibile, si nega la dizione e le regole demenziali del teatro (questo si fa così e quell’altro cosà).
Perché tutte le regole hanno reso morto ogni linguaggio ed ogni espressione, reso gli attori impiegati.
Il teatro è sudore nella vita reale dell’attore e il copione, di chiunque sia, si modella sulla pancia degli interpreti.
Il teatro, simulacro della vita, è la sua metafora più popolare che affonda le radici nella commedia, tragi o comica che sia.
La contemporaneità ha radici in uno spazio e in un tempo indefiniti, mentre oggi è stabilita dalle istituzioni.
Pensa tu, lo diceva pure Pirandello.
Sic et simpliciter.

Luciano Capponi

 

IG-NOTE DI REGIA

Se il teatro è quella cosa che già sai che hai visto e rivisto, che sopravvive e in molti casi vive bene grazie alle sovvenzioni ministeriali, è probabile che non sia teatro.
Se poi i registi sono intellettuali e danno molta importanza alla storia o al prestigio dell’autore, anche questo è facile che non sia teatro.
Se inoltre gli attori vengono da scuole codificate con il target della dizione o dello straniamento Brechtiano o del metodo Stanislavskij o addirittura dall’Actor’s Studio, beh, anche stavolta facciamo fatica a parlare di teatro.
E per non farci mancare niente, se le scenografie sono elemento portante, così come le musiche, i costumi, le luci o i marchingegni tecnici o addirittura i deus ex machina, lasciamo perdere il teatro.
E allora, dici tu, di cosa stiamo parlando?
Facendo capolino tra le quinte, con molto pudore e un abbondante disincanto, possiamo solo sussurrare quello che resta del teatro: il sudore, il coraggio, il messaggio e la fatica, la determinazione, l’anelito per raggiungere una comprensione di se stessi ed una reale capacità di manifestarsi.
A questo aggiungiamo che il copione, qualunque copione, va inserito nella pancia dell’attore e corretto ed interpretato a seconda dei momenti evolutivi individuali: una spruzzata di ritmo e di matematica che consenta di tracciare con certezza lo svolgimento emotivo e camuffare la storia in una danza individuale e collettiva che se ne fotta del senso ed anche del buon senso.
E aggiungiamo l’assenza di qualunque interesse economico e del disprezzo necessario verso ogni formalità, pregiudizio o compiacimento.
Manca ancora il sorriso, l’assenza di poteri malati tipici dei registi e la mancanza della lussuria che determina sempre gli scatti di carriera e i protagonisti.
Come si può comprendere, i due tipi di teatro non sono compatibili e quindi lasciamo al lettore la scelta.
La Resurrezione del Vasetto è l’esemplificazione del secondo teatro, quello che può definirsi assurdo, incompatibile e irrealizzabile.
Infatti gli attori muoiono di fame.
Non sappiamo se un messaggio convinto meriti così tanto dolore gastrico ma non possiamo farci niente, altrimenti che vasetto sarebbe?
L’ultima notazione che ci è concessa è che il teatro può essere compiuto solo da un artigiano che ne conosca e ne abbia vissuto tutti gli aspetti e le dimensioni.
Certamente non da un intellettuale.
Una delicata connotazione contemporanea ci permette inoltre di affermare che l’avvento delle fiction e vari generi televisivi, ha azzerato quasi completamente la reale capacità interpretativa degli attori e ha nutrito l’immaginario collettivo con rappresentazioni di tale
infimo livello che gli spettatori non riescono neanche più a comprendere chi è degno di merito e chi no.
L’importante è che sulle tavole appaia il personaggio conosciuto frutto malato del vuoto televisivo.
A questo punto ci rimane solo una domanda: il teatro è morto?
O sono finite tante altre cose?
Ai posteri, nella speranza, tenue, che ci siano.

Sono infiniti decenni che le grandi produzioni teatrali replicano e impongono sempre gli stessi autori e ci interroghiamo sul reale gradimento degli spettatori, oppure sulla routine che come ben si sa “è una rotella che gira e batte e fa tin tin”, con conseguente impoverimento delle capacità cognitive intrappolate in modelli culturali vetusti e stantii.
Basterebbe questo a giustificare ed anzi a promuovere uno spazio per altri autori se mai ce ne fossero, quantomeno degni di un minimo di visibilità.
Poiché la reale “visibilità” è figlia di procedimenti che ben poco hanno a che fare con la qualità.
E allora dietro quella porta fascinosa dell’invisibilità che è matrice di realtà conturbanti (o altri tipi di cappello, a scelta) “La Resurrezione del Vasetto” scivola nelle mani visionarie di un autore “vivente” e respira come sequel de “Il Vasetto di Pandora”.
Il teatro e’ morto, c’è poco da fare ma il sospetto vibrante è che forse sia il pianeta che ha “tirato le cuoia”.
Sublime pubblico, incapsulato in dimensioni elettroniche, ti occorre un “pass” per qualcos’altro, non trovi?

 

Teatro Agorà, via della Penitenza 33 – Roma
ore 21.00 – domenica ore 17.30
Per info: 066874187 info@teatroagora80.com

Ufficio Stampa:
Brizzi comunicazione – Monica Brizzi
Tel. 0639030347-390398091-3345210057 – m.brizzi@brizzicomunicazione.it

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Dopo lo straordinario successo dello scorso autunno torna in scena a grande richiesta al Teatro Agorà di Roma dal 12 gennaio al 7 febbraio 2016 “Il brevetto dell’anima”, il fantasy d’autore firmato e diretto da Luciano Capponi. Ambientato nel Medioevo, lo spettacolo, presentato dalla Compagnia I Birbi, porta in scena un viaggio metaforico all’interno della coscienza umana. Tra commedia, farsa e tragedia Luciano Capponi dà vita a una pièce dai toni surreali ma estremamente attuale. Con Nicolas Franik, Giulio Brando, Lollo Frizza, Valentina Scorsese, Penny Brown, Stefano D’Angelo e Bessy Bang.
Al centro della scena la camera da letto di un Re, luogo di incontri, cospirazioni, spazio intimo che il regista rende pubblico. Sul palco troviamo un Re, ormai stanco e sconsolato, una Regina, che non vuol più fare la moglie, dei cortigiani buffi e sprovveduti, Gioffa, donna dai facili costumi travestita da suora angelicata ed il figlio del re, un ragazzo apparentemente poco intelligente e fannullone. In un’atmosfera surreale, scandita da un’installazione video che fa da filo conduttore all’intera pièce, tra musica e balli, tutti i personaggi in scena, tra ricorrenti momenti comici non-sense e motivetti ossessivamente ripetuti, sembrano essere profondamente confusi.
“Siamo davvero all’interno di una corte? – afferma l’autore e regista Luciano Capponi – siamo nel medioevo storico o in quello delle coscienze? E le figure del Re, della Regina, dei cortigiani, di Gioffa esistono veramente? Non lo sa nessuno, né il pubblico né gli attori. L’unico che sembra avere le idee chiare è il buffone Alan Bicco, che con la sua chitarra arriverà a scardinare i labili equilibri di una corte bizzarra e stravagante. Un fantasy epocale, – prosegue Luciano Capponi – nella ripetizione umana e ossessiva degli stereotipi, dei luoghi comuni e delle sciocchezze di sempre, per non parlare delle violenze. Il brevetto dell’anima sembrerebbe essere l’esame finale dopo aver superato altri brevetti strettamente collegati a quella catena inossidabile dell’idiozia umana”.
Considerato da molti un autore post-contemporaneo per la sua capacità di rilanciare la mente al di là dei propri ostacoli, Luciano Capponi torna in teatro con un testo che con la forza della commedia, la profondità della tragedia e la leggerezza della farsa affronta una realtà sospesa, capace di far riflettere.

Teatro Agorà, via della Penitenza 33 – Roma
ore 21.00 – domenica ore 17.30
Prenotazioni: Biglietti euro 12, ridotto euro 10 – tessera associativa (obbligatoria) 2.00
Per info: 066874187 info@teatroagora80.com
Ufficio stampa: Brizzi comunicazione – Monica Brizzi
Tel. 0639030347-390398091-3345210057 m.brizzi@brizzicomunicazione.it

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IL BREVETTO DELL’ANIMA
di Luciano Capponi
con  Daniele Aldrovandi – Lollo Frizza –  Giulio Brando – Valentina Scorsese – Bassy Bang – Stefano D’Angelo – Penny Brown,
diretto da Luciano Capponi
TEATRO AGORA’
via della Penitenza 33
dal 1° al 25 ottobre 2015

Siamo nel Medioevo e chissà se storico o delle coscienze… chissà.
E non lo sa il Re, non lo sa la regina, vagamente i cortigiani e un po’ Samuel, il figlio sprovveduto del Re.
Poi c’è Gioffa, dai facili costumi, travestita da suora angelicata, che mira al letto del figlio del Re.
Ma uno con le idee chiare c’è ed è Alan Bicco, il buffone di corte. E’ lui che stravolge gli equilibri vetusti e stantii della corte consentendo al Re di morire in pace e al figlio di sedersi al trono con un nuovo cipiglio e forse una nuova coscienza.
Commedia ? Dramma ? Tragedia ? Farsa ?
Di tutto un po’ e il sapore finale riflette la commistione di questi generi.
Un fantasy epocale, nella ripetizione umana e ossessiva degli stereotipi, dei luoghi comuni e delle sciocchezze di sempre, per non parlare delle violenze.
Il brevetto dell’anima sembrerebbe essere l’esame finale dopo aver superato altri brevetti strettamente collegati a quella catena inossidabile dell’idiozia umana.
Niente di mistico o di trascendentale, la cipolla di Bertoldo vige e traccia la via nella semplicità e nel buon senso.
Virtù estremamente rare, ieri oggi, domani.

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Daniele Aldrovandi, Lollo Frizza, Giulio Brando, Valentina Scorsese, Bessy Bang, Stefano D’Angelo e Penny Brown, sono loro i protagonisti della nuova storia nata dalla penna di Capponi.
Teatro Agorà
via della Penitenza 33 – Roma
ore 21.00 – domenica ore 17.30
Prenotazioni: <a href=”mailto:ibirbi-teatroagora@hotmail.com”>ibirbi-teatroagora@hotmail.com</a>
tel. 339.19.56.076 – 06.68.74.167
Biglietti Intero 13.00 e ridotto 10.00; tessera associativa (obbligatoria) 2.00
Per info: 066874187 mail <a href=”mailto:info@teatroagora80.com”>info@teatroagora80.com</a> — 3391956076

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Luciano Capponi  autore e regista indubitabilmente “di frontiera”, considerato da molti un autore post contemporaneo per la sua capacità di rilanciare la mente al di là dei propri ostacoli, torna al Teatro Agorà di Roma con un nuovo travolgente spettacolo: Il brevetto dell’anima. Dopo lo straordinario successo di pubblico che gli ha permesso, lo scorso anno, di registrare il sold out per due settimane con Il Vasetto di Pandora, il regista e autore sarà in scena dal 1° al 25 ottobre con un cast di sette attori.

Il teatro è un attore nudo sulla scena, senza scenografia né musica.
Una luce su di lui e nient’altro.
La sua carne è l’immagine, i suoi movimenti il ritmo e la scenografia e i suoi silenzi l’anima.
E le parole verticali il contorno e il sollievo della Ragione. Ma il teatro è morto.
Ucciso dagli intellettuali, dai professori, dagli storici. Non sanno, essi, che il copione è solo un’indicazione, una possibilità virtuale senza sudore.
Non sanno che ognuno è sé stesso e non potrà mai essere Jago o Amleto o chi vi pare a Voi.
Non sanno che il mistero della “RECITAZIONE” è “NON  RECITARE”, e per giustificare questa nascosta ma fragorosa ignoranza hanno costruito una BABELE di pregiudizi, regole, comportamenti.
Hanno inventato la DIZIONE sostituendo con un’IMMAGINE un piatto di spaghetti al pomodoro e basilico: senza profumo né sapore e cancellando la divina salivazione che precede la prima forchettata.
Hanno reso politically-correct le scenografie che devono essere significanti, complesse e mentali ma specialmente molto costose.
E i costumi griffati, appariscenti, voluminosi e anch’essi molto cari.
E le musiche con il nome che “TIRA”. Così come gli attori che “TIRANO”, sennò chi ci va a teatro.
E i cartelloni sempre con gli stessi titoli. Come l’OPERA: un omaggio permanente ministeriale.
Il teatro è il sudore quantico e non ha parentele con la letteratura né con la storia.
Il teatro è condivisione della “FOLLIA” e la ricerca degli infiniti spazi interdimensionali fra le parole e i movimenti.
E in questi spazi nasce l’arcobaleno di una reale creatività e la rappresentazione permanente del “DIVERSO”.
L’attore è il MESSAGGIO, è la sua vita che si manifesta, la sua libertà d’espressione, il suo fluire senza condizionamenti.
E il regista è lo “SPECCHIO”, l’amico, il compagno di giochi, non “COLUI CHE COMANDA”, l’inarrivabile MAESTRO.
E’ un artigiano, in grado di mostrare la parte prima di te, di sudare più di te e di SERVIRE più di ogni altro.
E di aiutare l’attore ad essere semplicemente “NATURALE”, la scoperta più deflagrante del palcoscenico: SE’ STESSO.
Ma hanno inventato le scuole che uniformano e massificano rendendo gli attori fotocopie sbiadite della “REALTA”.
Se va bene così, amen.
La mia è una posizione scomoda: l’importante è che rimanga ignota.
Per cui…..non fateci caso.
Luciano Capponi